Per capire come gira veramente il mondo.

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Italiani popolo imbelle

I trecento conflitti combattuti nel mondo dalla fine della Guerra fredda ad oggi non ci hanno insegnato nulla. Per noi ragionare di guerra è ancora tabù nonostante continuiamo a combatterle, pur chiamandole ipocritamente con un altro nome.

La guerra russo-ucraina ci ha insegnato molte cose. Una è che mai come in questo nuovo secolo vale il detto si vis pacem para bellum. Se infatti gli ucraini avessero avuto un esercito efficiente, bene addestrato e dotato di armi moderne forse la Russia ci avrebbe pensato due volter prima di invaderla.

Un altro insegnamento è che dipendere per la propria difesa da altri è pericoloso. Sempre l’Ucraina – priva di una sostanziosa industria bellica – ci ha mostrato che per non soccombere ha bisogno delle armi occidentali; armi che però sono arrivate col contagocce e non nella quantità necessaria. Il risultato è che la guerra si è impantanata causando uno stillicidio di morti, feriti e distruzione.

Un discorso a parte meriterebbero poi gli obblighi cui l’Ucraina dovrà sottostare in futuro per ripagare gli Stati Uniti e l’Europa del sostegno ricevuto. Altra spiacevole conseguenza di chi rinuncia a difendersi o non è in grado di farlo da solo.

Noi italiani grazie a Dio abbiamo goduto di un lungo periodo di pace vivendo nell’illusione che mai più ci saremmo ritrovati in guerra. Certo, abbiamo vissuto la guerra fredda ma con la convinzione che nel peggiore dei casi tutto si sarebbe risolto in poche ore, col lancio di qualche centinaio di missili nucleari.

Così, mentre da una parte è penetrato il visus pacifista del “meglio rossi che morti” dall’altra per decenni abbiamo destinato alla difesa solo qualche scampolo di bilancio, quanto bastava per mantenere uno strumento militare capace di resistere quel tanto per far arrivare, nel caso fossimo ancora vivi, gli americani a combattere al posto nostro.

Quando poi è finita la guerra fredda abbiamo addirittura pensato di smantellare buona parte del poco che avevamo, sempre cullandoci nell’idea che comunque ci sarebbe stata la Nato a difenderci.

Quanti però si sono chiesti cosa ci è costato l’aver sempre delegato ad altri la nostra difesa? O forse ci sono ancora ingenui che credono gli Stati Uniti siano così filantropi da offrirci gratis il loro ombrello protettivo?

La nostra impreparazione nella seconda Guerra mondiale è costata luna ignominiosa sconfitta e la perdita della sovranità nazionale – e le basi americane sul nostro territorio sono lì a ricordarcelo – tanto che nella Costituzione abbiamo solennemente detto di voler rinunciare alla guerra. Tuttavia in guerra ci siamo dovuti andare ugualmente – e come potevamo rifiutarci? –: dal 1982 al 1984 in Libano, contro la Serbia nel 1999, in Somalia, in Iraq, in Afghanistan. Interventi costati parecchio sangue italiano in termini di morti e feriti e anche un bel po’ di miliardi. Nonostante queste guerre, ipocritamente, non abbiamo mai avuto il coraggio di chiamarle col loro nome.

Un altro insegnamento che ci ha fornito la guerra in Ucraina è che più importante delle armi è avere la determinazione di usarle. E’ questa la vera deterrenza, la vera assicurazione contro la guerra.

Purtroppo noi non abbiamo mai perso l’occasione per dimostrare al mondo che la determinazione a difenderci non l’abbiamo più. Ormai nel nostro Paese si è radicato un pacifismo ideologico e velleitario, avallato anche dalla politica che per far finanziare nuove navi per la Marina militare, ad esempio, si è ipocritamente inventata il dual use, ovvero mezzi da destinare alla protezione civile e agli interventi umanitari più che alla difesa armata, col rischio di non essere buone né per l’uno né per l’altro compito.

Il risultato di tutto ciò è che oltre ad essere militarmente poco armati siamo pure moralmente e psicologicamente inermi, tanto che nonostante il mondo intero sia in ebollizione ancora oggi tutto ciò che ha a che fare con la difesa è per noi tabù e chi parla di questioni militari è bollato come guerrafondaio.

Ma è proprio questo pacifismo il peggior nemico della pace.

Come se volessimo far desistere dai suoi propositi un malintenzionato entrato in casa nostra con qualche predicozzo. E di possibili malintenzionati fuori dalla porta di casa nostra ce ne sono tanti. Talmente tanti che hanno cominciato anche ad entrare. Parliamo ovviamente dei tanti “immigrati” che non solo hanno oltrepassato le frontiere senza avere un valido diritto ma che ormai esplicitamente dichiarano di volerci conquistare. In Nord Europa ci sono intere città ormai uscite dal controllo dello Stato

Ricordiamoci poi che l’Italia è protesa nel Mediterraneo, un mare strategicamente caldo, cerniera tra l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente, aree in perenne stato di crisi, e dove la Turchia sta mostrando velleità espansioniste mentre al di là dell’adriatico i Balcani, rischiano di incendiarsi nuovamente da un momento all’altro per non parlare di una Russia che appena rimarginate le ferite potrebbe volersi rifare della brutta figura con l’Ucraina invadendo qualche altro Paese per dimostrare al mondo di essere ancora una grande potenza.

Detto questo dobbiamo ricominciare a parlare di geopolitica e difesa, perché non tutti sono consapevoli che la politica internazionale e soprattutto il mantenimento della pace molto dipendono dallo strumento militare di cui sono dotati gli attori in campo.

In secondo luogo è importante riaccendere un po’ di amor patrio – che non ha nulla a che fare con lo sciagurato nazionalismo – in un popolo troppo avvezzo all’autodenigrazione, sfatando il pregiudizio – anche questo responsabile, almeno in parte, del nostro disarmo psicologico – secondo il quale l’Italia è un Paese imbelle, che da Lissa in poi non ha mai vinto una battaglia e che ricorda la guerra del 1915-‘18 più per la “disfatta” di Caporetto che per la sua indiscussa vittoria sull’Austria-Ungheria, senza la quale inglesi e francesi starebbero ancora a spararsi dalle trincee.

  • Giornalista professionista dal 1991 ha collaborato con La Nazione e Il Telegrafo. Nel 1992 ha collaborato a due programmi di fascia pomeridiana della RAI e nello stesso periodo ha lavorato presso l’Ufficio relazioni esterne dello stabilimento Ilva di Piombino, per il quale ha realizzato l’house organ, curato la comunicazione interna e tenuto i rapporti con la stampa locale e nazionale.
    Ha successivamente svolto incarichi di ufficio stampa ed è stato addetto stampa a Roma presso la sede nazionale di una associazione di lavoratori. Inoltre ha diretto e collaborato con diverse riviste. Tra il 1993 e il 2000 ha svolto una inchiesta sul “Mostro di Firenze” al termine della quale ha pubblicato: Gli “Affari riservati” del mostro di Firenze – Roma 2000, La strana morte del dr. Narducci. Il rebus dei due cadaveri e il “mostro” di Firenze – Derive e Approdi, Roma 2007.
    Altre pubblicazioni: Sussidiarietà: pensiero sociale della Chiesa e riforma dello Stato - Monti, Saronno 2000, Franchising ed impresa sociale – Franco Angeli, Milano 2003, Facility management e global service - Franco Angeli, Milano 2003.

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